Un poco di storia del nostro COSTUME
Innanzi tutto occorre precisare il concetto di “costume”, spesso discusso, appoggiandoci alla definizione del vocabolario di Devoto–Oli: “Foggia di vestire propria di certi ambienti, con significati tradizionali e popolari.”
Dunque l’abito tradizionale costituisce indubbiamente una testimonianza storica e grafica, un elemento culturale tipico di una regione, dove collegare un passato idealizzato, un simbolo visto come espressione di un sentimento d’identità capace di legare una società alla propria storia.
Nei secoli passati la società era più gerarchizzata. Le leggi suntuarie che concernevano l’abbigliamento furono emanate un po’ ovunque dal XIII al XVIII secolo allo scopo di conservare la semplicità e la purezza dei costumi primitivi e tradizionali. Comunque le leggi suntuarie imponevano diversità di abiti a seconda delle classi sociali.
E’ naturale che i poveri avessero meno possibilità di variare il loro vestito restando entro i limiti del permesso.
Il costume regionale era dunque specifico delle classi contadine popolari.
Si vuole accennare anche ai mutamenti delle abitudini dei brianzoli nell’abbigliarsi fino ai primi del 1900 , quando il costume tradizionale era stato ormai abbandonato dal popolo.
I primi a porre attenzione a questo patrimonio folcloristico sono stati i viaggiatori. Sovente essi erano anche pittori e da circa la metà del XVIII secolo per un centinaio di anni , hanno fissato gli abitanti delle regioni visitate (soli o inseriti in paesaggi) in quadri e stampe, allo scopo di portare a casa un ricordo del loro viaggio, poiché la fotografia non era ancora stata inventata e non esistevano cartoline postali.
Purtroppo se disegni e documenti si sono conservati, i costumi dell’epoca, soprattutto nella Brianza, sono quasi scomparsi per l’indifferenza delle famiglie che non comprendevano il valore storico dell’oggetto di uso quotidiano, anche se obsoleto. Qualche pezzo d’abbigliamento autentico delle epoche passate lo troviamo nei musei regionali, dove l’antico costume fu più duro a morire, e presso qualche privato sensibile alle tradizioni.
La base dei costumi femminili nostri popolani, è quasi sempre costituita da un corsetto stretto in vita e spesso senza maniche, che lasciava intravedere la camicetta bianca , e da una gonna molto arricciata.
L’abito poteva essere intero o spezzato.
Altri elementi frequenti sono corte giacchine. Immancabili i grembiuli a vita rettangolari, lunghi, che venivano succinti alla vita durante le uscite nei campi e nei boschi, e i fazzoletti (panet) da naso, da testa e da spalla, i quali si differenziano per la loro dimensione e utilizzo.
Si deve tenere presente che ci sono sostanziali differenze fra l’abito festivo o da sposa e quello da lavoro, e fra le stoffe invernali e quelle estive. Nei singoli pezzi di abbigliamento si possono riscontrare delle varianti dovute all’estro delle cucitrici.
I colori dei tessuti, che anticamente, soprattutto nelle zone discoste, erano piuttosto uniformi, divennero in seguito più variati , diversi da quelli segnalati dagli scrittori del passato.
Il vestito maschile popolano ha scarsa documentazione, forse per l’apparenza meno vistosa di quella dei vestiti femminili, e perché il modo di abbigliarsi degli uomini era piuttosto uniforme. Calzoni corti sotto il ginocchio, (zuava) giacca, cappello e gilet.
Luigi Sara